Almeno all’ultimo numero della stagione sarei voluta arrivare puntuale, devo ammetterlo.
Vi avevo abituate e abituati troppo bene l'anno scorso: ogni due settimane, con una regolarità impeccabile, avevo qualcosa di nuovo da dirvi, e ogni due domeniche alle 13 in punto trovavate quel qualcosa nella vostra casella di posta.
Quest’anno – chi è dei nostri da più tempo lo avrà notato – sono stata più discontinua, cedendo a qualche slittamento in più e costringendovi a qualche attesa prolungata.
Ma del resto è facile avere sempre qualcosa da dire quando ci si conosce per la prima volta, quando si gettano le basi di un dialogo: durante la prima stagione di questa newsletter ho provato a mettere a terra dei presupposti, delle visioni (spero) condivise, un linguaggio comune con il quale poterci parlare. Dei concetti, insomma, da poter impiegare come parole chiave nella nostra chiacchierata bisettimanale.
Una volta fatto questo, nella seconda stagione abbiamo iniziato a dialogare davvero, scendere a fondo delle cose. Ma sapete che fatica trovare sempre qualcosa da dire, dirla nel modo giusto, nella stanchezza generale che ci coglie a fine giornata?
E quindi, almeno per me, i numeri di quest’anno hanno avuto il sapore di quei fine settimana in cui sbotti un po’, attivi il risparmio energetico e non te la senti proprio di impegnarti in discorsi sui massimi sistemi: qualche riflessione a margine, tuttalpiù.
È interessante la figura del margine, che viene definita “al limite, in una posizione di confine, in una situazione che non è più o non è ancora quella di riferimento”.
Mi affascina l’espressione non più o non ancora: evoca la posizione di chi sta in disparte aspettando il suo turno, timidamente si sporge per vedere se non sia arrivato, poi torna al suo posto.
La metafora dello spazio, e in particolare quella centro-periferia, va molto oltre il riferimento a luoghi fisici, e da sempre assume una connotazione sociale. Si parla, in questo caso, di geografia umana.
Il modo in cui disponiamo le cose dice molto di noi e del sistema cui apparteniamo: quando si mette in ordine si finisce sempre per imporre un ordine, che inevitabilmente espone ciò che siamo disposti e disposte a mostrare con maggiore orgoglio e nasconde ciò di cui non vogliamo occuparci, di cui quasi ci vergogniamo.
Così anche il modo in cui disponiamo noi stesse e noi stessi, gli altri e le altre, è un sintomo del nostro sistema di valori. Il modo più tradizionale di farlo, i territori e in particolare le città, sono lo specchio topografico delle nostre relazioni umane.
Ogni processo di centralizzazione – che avviene attraverso la concentrazione di tutto ciò che vogliamo esporre in vetrina – è accompagnato da un ben più ampio movimento di periferizzazione, che produce una spinta verso l’esterno, uno scarico, di tutto ciò che produce o potrebbe produrre negatività.
L’espulsione del “negativo” lontano dai riflettori permette di restringere il campo visivo – e così anche il campo d’azione – su pochi elementi, utilizzando le risorse estratte dalle periferie per sviluppare il centro, divenuto ricettacolo e incubatore di positività.
Ma se quel negativo è fatto di persone, con i loro interessi e i loro bisogni, allora questi ultimi diventeranno invisibili e dunque inesistenti per una società che guarda ai centri. E, qualora intravisti, vengono subito squalificati come poco affidabili, privi di basi teoriche, dettati dal bisogno o dall’impulso e non dalla razionalità.
Questi punti di vista sommersi – conoscenze soggiogate, le chiamava Foucault – non riescono a inserirsi nell’infrastruttura sociale, sempre più permeata da una cultura della recinzione che utilizza la privatizzazione del pubblico come meccanismo di selezione dell’utenza, e in cui lo spazio fisico diventa dispositivo di esclusione.
Se la geografia umana è fatta di interazione e integrazione, la periferia è lo spazio dell’assenza, di ciò che sparisce dalla vista.
Un’assenza giustificata non dalla mancanza di risorse, quanto dal non valere la pena del loro impiego, e che risalta quando quelle stesse risorse – non solo economiche: molto prima, l’attenzione pubblica – vengono impiegate per ciò che abita i centri fisici e sociali.
Cinque miliardari che mobilitano maxi soccorsi mentre centinaia e migliaia di migranti invisibili muoiono in mare, o l’allarme siccità che scatta quando vengono colpiti i poli industriali, mentre mia madre mi racconta della Sicilia di 25 anni fa in cui si aspettavano giorni interi per avere l’acqua corrente. Non che le prime non contino, non che non ne valgano la pena.
Ma perché non permettere alle seconde di contare altrettanto, di valerne altrettanto la pena?
Allora chiamiamole anche, se volete, riflessioni dal margine, questi tentativi di decostruire la polarizzazione tra centro e periferia, di allargare lo sguardo e non semplicemente di spostarlo. Assumere il punto di vista dei margini, valorizzare quelle conoscenze soggiogate, fare luce dove non si vede: questo ho tentato di fare, in questa rocambolesca stagione di chiacchierate intermittenti.
Un esperimento di resistenza, che non è il tentativo di occupare quel centro in un modo qualsiasi ma di ribaltare il paradigma per un cambiamento trasformativo. Un impegno per una collettività plurale in grado di integrare quei margini, educarli a linguaggi diversi dalla violenza, dare un nome alle soggettività invisibili e una voce alla loro contestazione. Ma anche la sfida di riabilitare smarrimenti e domande, emozioni e fatiche relegate ai margini delle nostre esistenze perché non conformi a una narrativa che ci vuole prestanti, sorridenti e instancabili.
Ma del resto ce lo eravamo già detto a inizio anno, con le nostre nuove vision e mission, che alla fine si riassumono un po’ in questo: allargare la prospettiva per arrivare ai margini, rappresentarli, abitarli. Riportarli al centro non per sostituirlo, ma per dissolverlo. Per guardare agli ultimi tanto quanto ai primi, perché si riparta da quel limite per costruire una società che sia per tutti e tutte.
Perché, una volta per tutte, quel non ancora diventi adesso.
Noi restiamo vigili e ci riaggiorniamo tra qualche mese. Buona estate!
Vi saluto con un’illustrazione di Lenu. Guardandola mi fa pensare al coraggio di affacciarsi oltre l’ordine immobile del centro per guardare ai margini: le piastrelle eleganti, i colori luminosi si contrappongono a un mondo che è diventato grigio perché si è scelto di non colorarlo, ma che ospita in sé la dinamicità di onde che si muovono e portano con sé relazioni, interazioni, nuovi modi di guardare il mondo. Un flusso in cui vale la pena tuffarsi, insomma.
Anche quest’estate non posso lasciarvi senza dei consigli:
The Marvelous Mrs. Maisel è il mix perfetto tra comedy e drama, una serie in cinque stagioni con fotografia e costumi impeccabili, un manifesto femminista ambientato a cavallo degli anni ‘50 e ‘60 che racconta come la fine di una vita apparentemente perfetta possa essere l’inizio di un’avventura sfrontata, rivoluzionaria e dissacrante.
Per qualcosa di più leggero, Parks and Recreation è la sitcom in stile The Office (ma un po’ più soft) che vi potrà tenere compagnia tra un bagno al mare e l’altro, oppure in un momento di relax alla fine di una lunga giornata in montagna.
Qualche segnalazione podcast: GGF - editore e rivoluzionario, prodotto dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, ripercorre le pagine della vita dell’omonimo editore attraverso le pagine del libro di suo figlio Carlo. Per appassionati e appassionate di politica estera, Altri Orienti di Simone Pieranni, fondatore di China Files, e Globo di Eugenio Cau. Non può mancare l’amatissimo Indagini di Stefano Nazzi, che esce ogni primo del mese. E naturalmente rinnovo il consiglio di ascoltare HarryPigliati, che ha appena concluso la sua seconda stagione.
Anche se la newsletter va in pausa estiva, continuiamo a leggervi: se volete condividere qualche riflessione a margine o raccontarci di una vostra esperienza, potete scriverci come sempre all’indirizzo redazione@educationaround.org. Ma soprattutto vi terremo compagnia anche durante l’estate con qualche contenuto diverso dal solito sui nostri canali social: seguiteci per non perderveli!