E così, amiche e amici, ci risentiamo dopo tre settimane di silenzio.
Mi dispiace aver mancato l’appuntamento di domenica scorsa. Sebbene a tenermi via, come alcuni e alcune di voi avranno saputo dalle nostre storie su Instagram, abbia contribuito in parte un primo e immersivo incontro con la saga di Harry Potter, il motivo reale della mia assenza è un altro: sono stanca, e la scorsa settimana lo ero troppo per arrivare puntuale al nostro appuntamento domenicale.
Mi dispiace, dicevo, ma non mi scuso per questo.
Del resto, dopo anni di arringhe sull’importanza di fermarsi e riprendere fiato, di attacchi all’imperativo di produttività a tutti i costi e alla narrativa dei traguardi, sarei stata giusto un po’ ipocrita se avessi scritto una cosa qualsiasi pur di timbrare il cartellino.
Anche oggi non credo di aver qualcosa in particolare di cui parlare, non perché il mondo si sia fermato, ma perché – come dicevo – mi sono dovuta fermare un po’ io. Ma questo trambusto interiore, insieme agli stimoli casuali di giornate piuttosto ordinarie, ha generato qualche riflessione che vorrei condividere con voi, in questo numero che non ha troppe pretese se non di chiacchierare di pensieri in libertà – ecco, vi beccate pure il flusso di coscienza.
Mi sono ritrovata a pensare, dunque, che la logica del qualsiasi domina anche e soprattutto il mondo della comunicazione, popolato da fuochi fatui e polemiche del giorno. Si parla di qualsiasi cosa pur di parlare, perché tacere vorrebbe dire rinunciare a un pezzetto di visibilità.
E allo stesso modo domina la vita di tutti i giorni: si fa qualsiasi cosa pur di fare, ostentando ogni attività, dimostrando - in primis a se stessi - di stare riempiendo ogni momento in maniera produttiva.
Abitiamo una società ammalata di FOMO, terrorizzata più dall’idea di non usare tutta la batteria disponibile che da quella di rimanere senza. Allora accumuliamo attività, esperienze, titoli di studio, un pranzo qui e un aperitivo là, un articolo pubblicato su una rivista online e un altro inviato per quel bando di concorso, poi la serie che stanno guardando tutti e una foto dello smog cittadino dall’alto di un ufficio al quindicesimo piano, perché mai e poi mai si possa pensare che non ti dedichi abbastanza al lavoro.
E ovviamente, obbligatoriamente, nessun accenno di stanchezza.
Ma fermarsi non vuol dire non amare ciò che si sta facendo o disinteressarsi a ciò che succede intorno a noi.
Tutto il contrario. Da un lato, non parlare di tutto permette quasi sempre di dire meno ma dirlo meglio, non cavalcare la cresta dell’onda ma immergersi in profondità per comprendere ciò che si muove sotto la superficie. Dall’altro, non riempirsi le giornate di cose fatte per dovere o per pressione aiuterebbe a riscoprire il valore di tutto ciò che elude il devo e abbraccia il voglio. E, naturalmente, a farlo non con un senso di colpa ma di liberazione.
Allora non posso far altro che pensare che bisognerebbe educarsi ad abitare il tempo vuoto. Educarsi collettivamente, soprattutto, perché il non fare diventi una rivendicazione sociale e non più una concessione da fare a se stessi quando proprio non ce la si fa più (e vergognandosene pure!).
La dimensione collettiva, poi, va a sua volta liberata dall’epidemia del networking, che capitalizza le relazioni e le riduce alla ricerca di connessioni strategiche e agganci lavorativi perché, si sa, potrebbero tornare utili. Ma non tutti gli impieghi del proprio tempo libero – e men che meno le persone con cui entriamo in contatto – devono essere utili, perché non tutta la vita è lavoro.
Oggi l’incantesimo sta svanendo e l’illusione collettiva si sta frantumando in mille pezzi, a partire dalle Grandi Dimissioni fino alla resistenza collettiva francese alla narrativa del lavoro come aspetto dominante della vita. Se il germe di questa presa di coscienza contaminasse più menti possibili, se si facesse strada fino a rovesciare la storia che ci viene raccontata da anni, questa stanchezza collettiva potrebbe trasformarsi in energia positiva, con conseguenze reali sulle nostre vite e sulla società che abitiamo.
Io spero davvero che accada, amiche e amici. Perché, insomma, che fatica.
“E anche oggi nessuno guarda il cielo” è l’illustrazione che Cecilia ha associato a questo numero della newsletter, raccontandola così:
L’ho realizzata in uno di quei periodi della mia vita in cui non riuscivo realmente ad abitare il tempo vuoto. Quello che vedo io in questa illustrazione è un’assenza, qualcosa che manca. Scarpe abbandonate su un filo appeso fra i tetti, una parte del mondo che non è abitata da nessuno, perché tutti sono impegnati là sotto con le loro vite frenetiche. Quelle scarpe possono rappresentare la spensieratezza di un gioco d’infanzia ormai finito, oppure un gesto per riportare l’attenzione al cielo, al piacere delle cose semplici.
Qualche consiglio per il vostro riconquistato tempo libero:
Il nuovo libro di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, meglio conosciuti come Tlon, parla proprio di lavoro, stanchezza e fine dell’incantesimo: si chiama Ma chi me lo fa fare? ed è uscito questo martedì per HarperCollins. È stato anche grazie alla presentazione del libro, a cui ho assistito, che i pensieri in libertà di oggi sono riusciti a prendere forma.
Nell’ultima puntata di Basement Cafè condotta da Carlotta Vagnoli, Pierluca Mariti (in arte piuttosto_che) - sì, ancora lui - e Serena Dandini hanno parlato di tante cose, tra cui di diritto al gioco e di lavoro che resta lavoro anche se ci piace. Consiglio caldamente di recuperarla, se ve la foste persa.
In questo TED Talk, Melanie Sodka pone la questione in termini di massimizzazione della propria capacità, spiegando come questo sia l’esatto opposto di avere un’agenda sempre piena o continue distrazioni.
Qualche approfondimento sulla situazione degli scioperi in Francia, per sentire l’una e l’altra campana, insieme a una mappa sul numero e la localizzazione delle manifestazioni e dei manifestanti.
Se volete condividere la vostra stanchezza, potete scriverci come sempre all’indirizzo redazione@educationaround.org. Se nel vostro tempo libero vi capita di fare un giro sui social, invece, ci trovate sui nostri canali: