propòṡito s. m. [dal lat. proposĭtum, part. pass. neutro di proponĕre (v. proporre); propr., «ciò ch’è posto innanzi»]
I mesi finali dell’anno, si sa, servono a mettersi al passo. L’abbiamo fatto anche noi; che fosse d’uomo e di donna, di danza, o della Terra. Siamo tornati sulla linea di partenza con una penna di un nuovo colore, con delle macerie da ricostruire, con un mondo da custodire. Abbiamo messo tutto in ordine per prepararci a ripartire. L’unica cosa che manca, adesso, è iniziare.
Gennaio è il mese dei buoni propositi, cioè di ciò che di buono ci pro-poniamo, ci poniamo innanzi come obiettivo. Stando davanti a noi, il proposito non spinge, ma sprona: non sta alle nostre spalle a muoverci come una macchina ferma, ma alza la bandierina del traguardo – anzi, le bandierine dei traguardi – e ci chiama verso di sé.
La differenza tra una spinta e un proposito è che la prima si subisce, il secondo si segue. Cambia, cioè, come noi ci poniamo nei loro confronti: se diamo le spalle aspettando di essere mossi, o se li guardiamo negli occhi e ci muoviamo per raggiungerli.
Cambia dunque la nostra attività rispetto ad essi, il soggetto dell’azione: se diamo le spalle non vediamo, e se non vediamo non sappiamo. Così, aspettiamo qualcosa su cui non abbiamo controllo. Guardando dritto, invece, abbiamo a nostra volta degli occhi puntati addosso. Non siamo costretti a raggiungerli, ma siamo comunque i soggetti delle nostre scelte: sappiamo che sono lì a guardarci, anche se decidiamo di star fermi.
Si può star fermi per diversi motivi. A volte si ha paura, a volte si è schiacciati dalla stanchezza, a volte ci si sente impreparati. In ogni caso, ci si prende del tempo per rimarginare una ferita, piccola o grande che sia.
Una ferita lieve rallenta il passo ma non lo blocca; spostare un mattone produce una piccola frana, non una valanga. Una ferita profonda paralizza. È come una pietra miliare che, se rimossa, fa cedere l’intero edificio.
Le macerie di un piccolo crollo sono un ostacolo da oltrepassare, a volte anche da scansare. Le rovine di una costruzione demolita dalle fondamenta bloccano il passaggio. E superarle richiede un lavoro di sgombero che riapra la strada, e di riedificazione che la renda nuovamente percorribile.
Una ferita profonda apre una voragine tra noi e i nostri propositi.
Come ricucire la ferita, ricostruire la strada?
Bisogna lasciarsela alle spalle, ma non smettere di guardarla negli occhi. Lasciarci spingere, ma muoverci sulle nostre gambe. Farne un accompagnamento ad un nostro movimento. Trattarla, dunque, come una spinta propulsoria – da pro-pello, spingere in avanti: che ci guardi le spalle ma non le immobilizzi, che da dietro guardi oltre.
Si tratta, però, di una spinta più lenta della rapidità dei buoni propositi, dell’impazienza dei nuovi progetti. Come si riconcilia la lentezza di una ferita in via guarigione con la frenesia di quell’oltre che aspetta? Bisogna compromettere?
No, per due motivi.
Primo, compromettere implica una reciproca rinuncia per raggiungere un terreno comune che, in fin dei conti, non soddisfa nessuna delle due parti. Così, i buoni propositi vengono stemperati e raggiunti a metà, la ferita non si risana del tutto, e la strada resta sterrata.
Secondo, è compromesso qualcosa di insanabile, irrimediabilmente danneggiato. È una ferita che continua ad aprirsi perché non si cicatrizza, perché forse quella reciproca rinuncia non le ha permesso di guarire davvero. È una strada che resta pericolante perché ricostruita solo superficialmente.
Se non un compromesso, allora cosa?
Pazienza, ascolto ed empatia. Procediamo con ordine.
Essere pazienti vuol dire darsi tempo per far cicatrizzare le ferite, per mettere in sicurezza quella strada. Significa fermarsi, se serve, a riprendere fiato. Ma, soprattutto, non abbandonare i propri propositi solo perché si è stati costretti a rallentare il passo.
Ascoltare significa comprendere quali siano gli strumenti necessari per rimarginarla, e adattare i propri obiettivi – o, meglio, stabilirne di nuovi senza dimenticare quelli vecchi – per procurarseli.
Una volta guarita la ferita, agire con empatia significa usare la cicatrice – che no, non se ne va – per rinascere dalle proprie ceneri, ripercorrerne la linea per disegnare altre strade che s’intreccino in nuovi percorsi verso i propri propositi. Usarne la sagoma per dar forma a nuovi obiettivi da mettersi davanti.
Per questo nuovo anno, quindi, noi di Education Around vi auguriamo di seguire – anzi, di raggiungere – ogni vostro proposito, ma di prendervi delle pause per riprendere fiato. Di guardare avanti, ma, di tanto in tanto, rallentare il passo per risanare le vostre ferite. E di guardare alle vostre cicatrici come delle linee che iniziano a tratteggiare un disegno nuovo, che orienti il vostro passo e vi ricordi di ogni tappa che avete attraversato per arrivare dove siete.
Buon 2022!
In questo numero vi raccomandiamo una grafica d’eccezione: è Camilla, che in questa illustrazione è riuscita a far coesistere la luce di un oltre pieno di propositi e la penombra di un luogo sicuro dove fermarsi a sanare le proprie ferite. La luce, mediata dalla finestra, raggiunge la stanza, ma sembra quasi affievolirsi per non accecare chi vi sta dentro. E per questo 2022 vi auguriamo di prendervi il tempo per raccogliere le forze e affacciarvi a quella finestra, esplorare l’oltre su cui si apre, lasciarvi guidare da quella luce in tutta la sua potenza.
Dico d’eccezione perché Camilla si occupa di tutta la parte grafica di Education Around. Tutto ciò che vedete pubblicato sui nostri canali passa attraverso il suo occhio attento e la sua mano esperta, una risorsa preziosa all’interno del nostro team.
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