Mettersi al passo non è mai facile, soprattutto quando la pila di compiti delle vacanze è così alta. Quel settembre escatologico cui si affida ogni prospetto, ricettacolo di ambizioni, doveri, progetti – adesso non è il momento, ci penso dopo l’estate – si presenta alla porta prima del previsto. E con esso ogni piano negletto e strascicato, che non ha preso forma da solo durante l’estate e a cui non abbiamo proprio voglia di darne una – ma come, settembre non è la parola magica che ci rende tutti produttivi?
Non solo. Ricominciare significa riprendere qualcosa che era stato interrotto, ma anche iniziare nuovamente – ri-cominciare – dopo aver messo un punto a ciò che c’era prima. Per chi ri-comincia, mettersi al passo vuol dire ritornare sulla linea di partenza e, faticosamente, mettercela tutta per riprendere l’andatura. Un’andatura che adesso sembra troppo rapida, e non ci spieghiamo come possa esserci appartenuta.
Gettiamo un occhio al passato e proprio non capiamo come facessimo ad andare così veloci. Come riuscivamo non solo ad essere in tempo, ma addirittura a scandirlo con il nostro passo?
Bisogna darsi tempo per tenere il tempo.
No, non è una scusa per giustificare il ritardo di questa newsletter. Piuttosto, un monito che quella velocità cui tanto miriamo, quell’andatura che sembra sfuggirci e guardarci beffarda da lontano – se non ti muovi non mi raggiungerai mai – altro non è che una proiezione che noi stessi produciamo. Col fiato alla gola fuggiamo dall’eco del tempo che ci rincorre, e non ci accorgiamo che è l’eco dei nostri passi. Più corriamo veloce, più ci sentiamo incalzati.
Perché talvolta il mondo dentro la propria testa è talmente piccolo
Che guardando laggiù ti sei visto la schiena
E girandoti indietro ti sei voltato le spalle.
Un delirante auto-inseguimento, in cui vestiamo i panni della vittima e del carnefice insieme.
Fermiamoci. Prendiamo il tempo necessario, saliamo un gradino alla volta. Ricominciamo – o ri-cominciamo – senza un’andatura prestabilita. Ascoltiamo il nostro ritmo e seguiamolo.
Si dice che un veicolo vada a passo d’uomo quando riduce notevolmente la velocità. Mi dico che ogni uomo ha un passo diverso. Mettersi al passo significa mettersi al proprio passo.
Procedere a passo d’uomo, ma al passo di ogni uomo.
Per questo numero vi proponiamo un’illustrazione di Giorgia: la trovate su Instagram e sul suo sito. L’orologio segna un’ora precisa: le 23.59. Il giorno è finito e il tempo ci stringe nelle sue morse come i tentacoli di un polipo. E noi ci sentiamo ossessionati, trattenuti, appesi: in inglese, hung up.
A dirla tutta, il mondo procede già solo a passo d’uomo.
Un tratto di penna blu – sì, blu, il colore da maschi – scrive le leggi, assegna i ruoli, detta le priorità. È scritto in blu che gli assorbenti non sono beni di prima necessità, quindi sì, abbassiamo l’IVA, ma solo al 10%. È scritto in blu che fa parte del gioco indossare abiti succinti; se vai contro le regole, non la passi liscia. È scritto in blu che qualcuno possa sentirsi autorizzato a fingersi un medico, accedere a dati sensibili e molestare telefonicamente delle donne. Donne le cui denunce vengono sminuite – diventando, così, vittime di una violenza sistemicamente tollerata – dalle forze dell’ordine finché il caso non diventa nazionale. È scritta in blu l’obiezione di coscienza che impedisce di disporre del proprio corpo. È scritto in blu un Sistema Sanitario Nazionale che non riconosce le “malattie invisibili” e non offre assistenza a chi ne soffre. È scritto in blu che la parità salariale ha un prezzo ben preciso, e se la implementi devi essere ricompensato: se ti carichi di questo onere ti meriti degli sgravi fiscali, non sia mai che un tale sacrificio passi inosservato.
In un mondo scritto a penna blu, ogni largizione è supererogatoria. In una realtà che si muove a passo d’uomo, un passo di donna è una conquista non dovuta, ma gentilmente concessa.
Concedere deriva da cum-cedo, letteralmente “ritirarsi dinanzi a qualcuno”. Sinonimo di concedere è accordare, quindi autorizzare. La concessione presuppone inevitabilmente un soggetto che, per grazia, fa un passo indietro e – in uno slancio caritatevole – elargisce qualcosa che di diritto gli appartiene.
Il soggetto, però, resta sempre il donatore. La penna resta blu, e la mano che la impugna non cambia. Io, soggetto, autorizzo te, oggetto.
La reificazione della donna passa attraverso dinamiche di potere che restano intoccate e intoccabili. Queste necessitano di una continua affermazione della superiorità del padrone, che è tale soltanto nella misura in cui ha la possibilità di decidere delle sorti del servo. L’utilizzo benigno di questo potere non ne riduce la natura oppressiva: un rapporto di forza, a prescindere dai termini della sua concretizzazione, produce una alienazione della volontà dell’oppresso, che passa in mano all’oppressore. Il padrone possiede la capacità di agire del servo semplicemente in virtù della possibilità di riprendersela a suo piacimento. Una dittatura illuminata è pur sempre una dittatura (posto, poi, che in questo caso non c’è alcun lume). Finché chi occupa una posizione di privilegio detiene il potere di concederne una parte a qualcun altro, quest’ultimo resta a sua disposizione.
Non puoi emanciparti, se devi chiedere il permesso.
A disposizione è quindi anche il tuo corpo, perché in quanto oggetto sei solo materiale da usare a piacimento. Da commentare quando cammini per strada, da giudicare dall’alto del pulpito, da omologare secondo norme scritte a penna blu.
Ma ti faccio la concessione di non dirlo in tua presenza; anzi, ti faccio notare che è proprio per te che mi sto trattenendo, guarda un po’ quanto ti rispetto. Guarda quanto potere ho, e quanto sono generoso a non usarlo. Ricorda che ti posseggo, e se ti illudi del contrario è solo per mia scelta.
Ma il servo resta servo e il padrone resta padrone. E la penna resta blu.
***
Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere.
In un numero precedente di questa newsletter abbiamo già parlato di dualismo, che inevitabilmente si traduce in binarismo. Con questo s’intende l’idea che esistano solo due opzioni mutuamente esclusive, che non possono incontrarsi e non ammettono vie di mezzo. O io o tu. O Marte o Venere. O mente o corpo.
E mentre parliamo di passo d’uomo e passo di donna, ci passa di mente una complessità che la penna blu non può – anzi, non vuole – cogliere. E spesso si dimentica che il suo tratto non è indelebile, e i nuovi capitoli possono cambiare colore.
Colore o colori? Quante sfumature sono imprigionate in quel blu omologante? E quanta forza serve per squarciarne l’alone? Basta, la forza?
Il 27 ottobre una secchiata di blu ha gettato l’Italia in una notte profonda. Il DDL Zan e tutti i suoi colori sono stati affossati da una scelta politica che, tenendosi stretta la penna, ha deciso di scrivere a chiare lettere un “no” assordante. No, non sarà concesso un diritto alla propria identità senza discriminazioni. E no, non se ne discute neanche. Lasciateci liberi di odiare, noi giganti con la penna blu.
Libertà è essere padroni della propria vita, soggetti delle proprie azioni. E tu che sei oggetto – uno che, tra l’altro, non rientra nel nostro mondo a due corsie; e quindi non sei neanche oggetto, non sei niente – puoi solo subire la mia scelta. E io da soggetto impugno la mia penna e scelgo di non scriverti, di non nominarti, di non farti esistere; perché esistiamo solo se qualcuno ci riconosce, e per riconoscere devi avere potere e dunque essere soggetto. Il servo esiste solo se ha un padrone da servire. E il padrone non può farselo scappare, se vuol restare padrone. In un sistema di potere che afferma con forza – anzi, con violenza – un dualismo oppressivo e ineludibile, esisti solo se qualcuno ti fa esistere. E quella penna blu non ne vuole proprio sapere.
Così la politica ci passa sopra, che vuol dire sorvolare – se non ti nomino, non ci sei – ma anche calpestare. Le due cose vanno di pari passo. Riconoscere un diritto significa affermare l'individualità agente del servo, che smette di essere tale nel passaggio da oggetto a soggetto. Perché ciò non accada, è fondamentale che la sua reificazione venga riaffermata in negativo, nel contrasto rispetto a un padrone che lo calpesta.
L’esistenza dell’oppresso è funzionale all’affermazione del ruolo dell’oppressore. Tale esistenza è accettata e anzi ricercata finché resta strumentale; il tentativo di emanciparsi in un’esistenza autonoma produce inevitabilmente una reazione violenta, che reitera e salvaguarda i ruoli di potere.
Ho tutto il diritto di odiarti e me lo tengo stretto.
Ma se la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo, se la saggezza si desta al culmine della civiltà (e in prossimità del declino), la notte del 27 ottobre ha sollevato degli stormi che puntano a volare alto. E ci ricordano che passo è anche passaggio, e mettersi al passo vuol dire anche operare una transizione. Di pensiero, in primis. Di potere, poi.
Per farlo, è necessaria un'educazione alla diversità che superi il soggetto e l’oggetto, Marte e Venere, il servo e il padrone. Serve un’educazione che non abbia paura di cambiare colore e non chieda il permesso per farlo. Un'educazione che vada oltre.
Oltre la penna blu, oltre la concessione. Oltre il binario.
In questo numero vi consigliamo delle risorse rilevanti per il tema, che approfondiscono aspetti che, seppur ugualmente importanti, non siamo riusciti ad includere. Rimediamo così:
Sold in America: un podcast in cui la giornalista e attivista Noor Tagouri ci accompagna in un viaggio profondo e straziante nel mondo della prostituzione negli Stati Uniti. Otto episodi che parlano di oppressione, libertà e autodeterminazione. Se volete mettere in discussione tutto ciò che pensavate di saperne, lo trovate su Spotify, Stitcher e Apple Podcast.
Un TED Talk in cui Pierluca Mariti, meglio conosciuto su Instagram come piuttosto_che, racconta l’altra faccia della medaglia e cosa significhi essere nati – volenti o nolenti – con una penna blu in mano.Questi profili Instagram: stregafemminista e alwaysithaka
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