Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.
- Friedrich Nietzsche, Così parlo Zarathustra.
Nello scorso numero, ci siamo lasciati con la nottola di Minerva che spiccava il volo, mentre la notte scendeva. Cosa ci resta di quella notte?
Le tre metamorfosi che aprono lo Zarathustra di Nietzsche ci accompagnano nel racconto di quell’oscurità, e possono aiutarci a vederne le rovine. Il cammello, attraversando il deserto, porta sulla sua schiena il peso del sacrificio. È un viaggio che avviene nella notte dipinta di un blu profondo, la notte dell’oppressione. Ma il cammello vuol diventare padrone di quel deserto; così, la sua paziente sopportazione si trasforma in protesta, e lui si trasforma in leone. A ogni “tu devi”, il leone ruggisce forte “io voglio!”. Contro quel blu risuona un “no” sonoro, che ne demolisce la monocromia e ne squarcia l’alone. Il leone esprime una potenza negativa, che somiglia più a una violenza distruttrice che a una forza rinvigorente. E le rovine di quella notte buia non possono restare rovine; quegli stormi, che instancabilmente hanno danzato in cielo, non possono andarsene senza lasciar traccia. Piuttosto, lasciano spazio alla rinascita, ad un bambino che da quelle macerie costruisce, e di quelle macerie si riappropria.
Cosa resta, dunque, di quella notte?
Resta il sole che sorge; resta l’aurora.
Aurora viene dal sanscrito aus, che significa splendere e rilucere, ma anche bruciare e illuminare. Così quell’aurora dorata brucia il blu della notte con un nuovo sguardo che, splendente, illumina nuovi spazi in cui costruire.
Attenzione: quegli spazi non sono emersi nella notte. Sono sempre stati lì. Ma erano spazi aridi, erano il deserto in cui il cammello portava il suo carico, erano una prigione di oppressione. Illuminarli vuol dire allora rivendicare ciò che già c’è e trasformarlo in libertà.
Dicevamo, la scorsa volta, che libertà significa essere padroni della propria vita e soggetti delle proprie azioni. Liberarsi, e quindi emanciparsi, vuol dire anche tornare ad essere soggetti della propria conoscenza. Conoscere poi è anche riconoscere, quindi riscoprire e rivendicare.
Ma cosa rivendichiamo?
Il mio professore di filosofia del liceo una volta ci disse che la vita può essere portata – o sopportata – come un peso, ma la conoscenza può metterci nelle condizioni di impadronirci del suo senso che consiste, in fondo, nella sua bellezza.
Reclamare la bellezza ci aiuta a superare la distinzione tra libero e schiavo, tra soggetto e oggetto. Educarsi alla bellezza consente di superare quella notte e di cambiare colore senza chiedere il permesso. La bellezza sta, di per sé, oltre il binario. Rinnega l’aut-aut, sfonda gli argini del dualismo, grida “io voglio!” ad ogni “tu devi”. Ma, a differenza del leone, sa quello che vuole.
Educarsi alla bellezza vuol dire muoversi a passo di danza in una totalità molto più grande dell’io e del tu, del bene e del male, del giusto e dello sbagliato. Vuol dire danzare tra la rigidità di quelle linee e smussarle con un tocco leggero, volteggiare sui muri e così demolirli, fluttuare tra determinazioni spigolose per levigarle. Perché una determinazione presuppone uno che determina e uno che viene determinato; presuppone, cioè, un soggetto e un oggetto.
Educarsi alla bellezza è allora non abbandonarsi alla subalternità del cammello, e riscattarsi in modo tale che il ruggito del leone lasci spazio allo sguardo nuovo e incontaminato del fanciullino. È affermarsi soggetto dove ti si vuole oggetto.
Educarsi alla bellezza è riappropriarsi di spazi fisici e intellettuali. È riqualificare aree degradate in spazi associativi, è permettere l’incontro di esperienze vissute e progetti da vivere, è far fiorire cambiamento dove c’era deserto. D’altro canto, è alzare la voce e dire che la propria opinione conta, reclamare quella cattedra, riprendersi quel palco. Creare spazi dove si trova spazio. E danzarci sopra, colorarli con le impronte dei propri passi. Lasciare un segno.
Ma danzare richiede equilibrio, e talvolta si oscilla tra la subalternità del cammello e l’aggressività del leone. Restare fanciulli è trasformare ogni oscillazione in una danza; come un funambolo, camminare con grazia lungo la linea sottile del rispettare senza subire, e rifiutare senza screditare. Sorgere senza dimenticare ciò che è tramontato.
E non fermarsi mai, non smettere mai di disgregare e riaggregare, di demolire e ricostruire, di destrutturare le gerarchie e ristrutturarle in orizzontale. Non perdere mai quella scintilla da cui nasce l’aurora.
E se quella scintilla è l’educazione, allora fare della scuola il primo spazio di agitazione, di attività e di rinascita. Una scuola che abbandoni la sua staticità per gridare “io voglio!”, e faccia richieste ben precise. Una scuola che diventi spazio educativo nel senso letterale della parola, cioè spazio che e-duca e dunque tira fuori un ruggito e ne fa rivendicazione. Che con il proprio sguardo fa luce e accende la scintilla.
Perché si deve avere ancora del caos dentro di sé per partorire una stella danzante.
In questo numero vi proponiamo un’illustrazione di Giuseppe, che attraverso i tatuaggi accende la scintilla. Quando l’ho vista, mi ha trasmesso una sensazione di rinascita: le piante che germogliano da un vaso - apparentemente un luogo arido, come il deserto del cammello - sembrano gridare un inno alla vita. Ed eccola, a vegliare su di loro, la stella che danza.
Ho pensato questa newsletter rispolverando una lezione che il mio professore di filosofia del liceo improvvisò per rispondere a una domanda postagli da un mio compagno. Approfitto di questo spazio per ringraziarlo per avermi insegnato tanto di ciò che mi ha poi permesso di trovare la mia strada, e per essere stato, inconsapevolmente, una figura di riferimento che ha guidato i miei studi, la mia formazione e, in ultima analisi, la mia persona. Lo faccio qui per sottolineare ancora una volta quanto preziosa sia l’educazione, e quanta responsabilità abbia chi la mette in pratica. E tutto ciò mi convince sempre di più dell’importanza cruciale di coltivarla, migliorarla e tutelarla come un diritto e una risorsa fondamentale, che poi è la mission di Education Around.
Grazie per aver letto questa newsletter.
In Education Around ci impegniamo tutte e tutti gratuitamente. Prima che di una donazione, abbiamo bisogno del tuo supporto per migliorare e raggiungere le persone che, senza di te, non raggiungeremmo.
Se le nostre analisi ti stimolano a riflettere, condividile con la tua rete di persone. Per farci sapere cosa ne pensi, puoi seguirci sui nostri canali social e contattarci oppure scriverci una mail per segnalazioni, domande, curiosità.