Ondata.
Da un anno a questa parte siamo abituati ad associare a questa parola una successione: prima, seconda, terza.
Ondata, che diventa ondate.
Non sappiamo con certezza se l’incresparsi della quotidianità, se una linea di un grafico che si impenna, se un certo numero che cresce produrranno una ennesima ondata oppure no.
L’enciclopedia Treccani definisce ondata come “un colpo di mare provocato da un’onda piuttosto grossa e violenta”.
Un certo fenomeno libera una determinata quantità di energia che impatta contro lo spazio delle nostre vite, si propaga e ci raggiunge. Un’onda non è sempre prevedibile.
Quando c’è una certa ricorsività nel dato fenomeno, diciamo appunto che si manifesta a ondate.
Anche prima della pandemia, i media utilizzavano spesso queste locuzioni per parlare delle grandi migrazioni che interessano il Mediterraneo: ondata di migranti.
Era implicito che quel movimento di persone si sarebbe infranto sulle coste della nostra normalità per superarne i confini – a volte per distruggerli. Si faceva spazio sin da subito l’idea che una qualche forma di violenza ci sarebbe stata.
Per alcuni, la forza d’urto di quelle ondate giustifica misure drastiche, di chiusura difensiva: ecco che la violenza dell’ondata giustifica la violenza dei meccanismi con cui ad essa si risponde. Per altri, l’ondata può non essere violenta e questo non significa negarne la forza.
La differenza tra forza e violenza è dettata dal segno con cui questa energia si attua, dalla direzione assunta dal movimento e dall’intenzione con cui è compiuto. Liberiamoci dell’idea che la forza sia necessariamente violenza.
La violenza è forza non educata.
L’opera che accompagna questo numero è di Roberto Dramis, che è un artista di molte forme e altrettanti talenti. Ho scelto quest’opera per due ragioni: per il suo contenuto, anzitutto, e poi perché è pensata per essere realizzata sulla pelle.
La forza con cui viene eseguito un tatuaggio va saputa dosare, indirizzata in modo da non perdere incisività e non oltrepassare una certa linea, che va colta nelle reazioni dell’altra persona.
Ci vuole esperienza, dunque, una certa educazione.
Se nel caso dell’arte è richiesto anche quel non-so-che di innominabile che è proprio solo di chi lo ha e distingue un esecutore, anche bravo, da un artista; è nella quotidianità della nostra vita che abbiamo bisogno di educare la nostra forza, di essere educati alla forza degli altri.
Forse la migliore forma di educazione della forza e alla forza è la cooperazione.
La forza non è necessariamente violenza, dicevamo, ed è vero nella misura in cui siamo in grado di realizzarla secondo determinate traiettorie e non secondo altre.
Una persona sta per essere raggiunta da un colpo. Facciamo scudo a questa persona. L’energia con cui attutiamo quel colpo è la stessa, in fondo, di quella con cui il colpo è sferrato: si tratta della stessa pasta.
La differenza è in quello che creiamo con la forza che abbiamo a disposizione.
Perché legare questa esigenza di educazione alla cooperazione?
Anzitutto perché non c’è educazione senza relazione, come dicevamo nella scorsa newsletter dedicata all’educazione che alleva tempeste.
E poi perché la cooperazione è una forma di relazione paritetica che consente, dunque, di attuare processi di educazione tra pari: si è educati mentre si educa, sullo stesso livello.
Cooperazione significa alleanza tra forze, che si uniscono e si intrecciano per realizzare un obiettivo. Mettono in comune un’energia che altrimenti non ci sarebbe e provocano un certo effetto allo spazio in cui si compiono.
Educare la nostra forza ed educarci alla forza altrui attraverso la cooperazione significa aprire la possibilità di utilizzare ingenti risorse per la nostra progressiva e costante emancipazione - che è la stessa cosa dell’evoluzione.
La cooperazione tra discipline e tra visioni del mondo, tra idee e prospettive cioè forze diverse, per esempio, può guadagnarci la possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale per migliorare le condizioni di vita dei viventi, invece che per sorvegliare, controllare, punire prima, con maggiore efficacia, prima ancora che ve ne sia il bisogno. Per una bella chiacchierata a tre voci sul tema dell’intelligenza artificiale, potete ascoltare l’ultimo numero di Accademico, il nostro podcast, che ha ospitato Laura Porta, già colonna portante del nostro blog.
È solo attraverso l’educazione cooperative che possiamo unirci per esprimere onde, provocare ondate, trasformare le acque in cui viviamo, tutti. Dobbiamo però iniziare a unirci e intrecciarci, prendendo gli uni le misure degli altri, la misura di sé attraverso quella degli altri.
Invece che usarle per spazzare via ciò che ci sfida o non ci interessa, l’altro che è di troppo, possiamo iniziare a utilizzare le nostre mani per comporre una figura di alleanza educativa permanente, di cooperazione. Come le mani dell’opera di Roberto, che ringrazio.
Questa settimana, la nostra Caterina Bellatreccia consiglia La macchina del vento di Wu Ming 1.
Un gruppo di confinati antifascisti, un'isola sperduta come prigione, e tanti ideali per un futuro migliore: attraverso questi pochi ingredienti, Wu Ming I ci catapulta in un mondo senza tempo, fatto di promesse e di speranze.
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