Quando scrivo questa newsletter, ho sempre la sensazione di sedermi sul divano con una cioccolata calda, o al bar davanti a una birra. Immagino di avervi davanti a me e, come vecchi amici che non si vedono da qualche tempo, raccontarvi cosa mi passa per la testa, aggiornarvi sulle novità. Del resto, è un quadretto che si adatta alla domenica, no?
Ecco, adesso arriva quel momento in cui la vostra amica vi guarda con fare serio: devo parlarti di una cosa importante, ci penso da un po’.
Voi adesso stareste corrucciando la fronte, e mi stareste guardando con quello sguardo a metà strada tra l’inquisitorio e il preoccupato. Inclinereste la testa, vi sporgereste leggermente verso di me. Che succede? Mi devo preoccupare?
No, non dovete preoccuparvi. Ma sedetevi comodi, devo raccontarvi una cosa.
Partiamo dalle basi: questa newsletter è la voce di Education Around. Ma chi è Education Around? Ecco, è per rispondere a questa domanda che vi racconto questa storia.
Forse dovrei partire da chi eravamo, chi siamo stati.
Education Around era una realtà nata tra amici, fondata sulla fiducia e sulla reciproca conoscenza. Era un luogo dove dire la propria, dove portare avanti un’istanza dettata dal bisogno di una maggior voce in capitolo, di un cambiamento nell’università italiana che non aveva ancora un profilo ben definito. Era proprio questa tacita comunione d’intenti che, come una regola non scritta, ne nutriva il coinvolgimento e ne sosteneva l’identità. Era un posto familiare e popolato da poche persone che ci credevano, con obiettivi piccoli ma trasparenti. Un’associazione spontanea e poco formale, ma fondata sui legami.
Poi è arrivato quell’inquilino fastidioso che ci portiamo dietro da tre anni: abituati ai propri spazi, ci si è trovati a condividere la propria casa – che dico, la propria vita – con uno sconosciuto che non avevamo mai visto prima. Peggio ancora, da quella casa non si poteva uscire. Immaginate il coinquilino peggiore che abbiate mai avuto, e immaginate di non separarvene mai. Mai, neanche quando andate a dormire. Quell’inquilino non era il covid, ma la paura del covid. Una paura così invadente, appiccicosa, ingombrante, che l’unica via d’uscita sembrava guardare altrove.
Tanti occhi, quindi, sono approdati su Education Around. Occhi che corrispondevano a mani, mani che corrispondevano a menti. Più mani e più menti – insieme ad una quantità di tempo libero mai esperita prima – si traducono in più efficienza. Così, quella realtà nata tra amici subisce una spinta forte, fortissima, quasi violenta. Prende una velocità a cui non era abituata, preme sull’acceleratore e della parola freni non se ne parla neanche. Non ce n’è bisogno, del resto; va tutto alla grande.
Qui, l’avrete notato, il racconto di chi eravamo e chi siamo stati diventa la storia di cosa eravamo e cosa siamo stati. Education Around era diventata una grande macchina che funzionava bene.
Ma a un certo punto le porte si riaprono: si esce di casa, la vita lentamente ricomincia, la paura si esorcizza fuori da quelle quattro mura. E meno male!
Quelle mani e quelle menti, però, si fanno meno efficienti. La spinta si affievolisce, serve premere quel freno. E, si sa, una frenata brusca dopo una forte accelerazione produce un impatto.
Il nostro impatto ha avuto una forma ben precisa, che riassumo con le parole di una persona molto importante per ciò che è stata Education Around:
“Manca, forse, un interesse concreto che sia condiviso e tenga insieme EA come un organismo vivo, e non come un arcipelago di attività indipendenti che, di volta in volta, provano a riallacciarsi.”
Tagliente, taglientissima, si solleva una domanda: cosa tiene insieme Education Around?
Perché, faccio un passo indietro, il problema non è stata la fine del lockdown o l’allargamento della squadra. La pandemia ha premuto sull’acceleratore, certo; ma, se la macchina scivola su un piano inclinato, l’impatto è inevitabile. Soprattutto quando i freni sono stati trascurati, e non si sa bene in che direzione si stia andando.
Quando la base è forte, la motivazione chiara, il tempo si trova o si ritaglia. Il problema va cercato a monte: quanto è forte la base, quanto chiara la motivazione? Cosa teneva in piedi l’insieme ormai multiforme che era diventata Education Around? Qual era il filo conduttore che collegava quelle persone che non si conoscevano, con esperienze e percorsi così diversi, oltre a una quantità di tempo libero mai vista prima?
Amiche e amici, vi confesso che in un primo momento non avevamo una risposta. Quella domanda ci ha paralizzati, e ha paralizzato le nostre attività: avete notato a quando risale il nostro ultimo post su Instagram?
La domanda più difficile, la prova più ardua, toccava proprio quelle corde che facevano vibrare tutto ciò in cui ci impegnavamo. Era una chitarra in cui ogni corda suonava una melodia diversa, seguiva una direzione differente, scriveva il proprio spartito. Era una macchina in cui ogni ingranaggio si muoveva senza sapere cosa stesse muovendo, in cui si vedeva il meccanismo ma non la strada che si stava percorrendo.
Quella domanda riguardava l’identità di Education Around. Riguardava il chi di quel cosa.
Qui la strada si biforca: vogliamo restare qualcosa o diventare qualcuno?
Da un lato, potevamo restare quella macchina perfettamente funzionante, quell’arcipelago di attività indipendenti che di tanto in tanto si incontravano, ma che non avevano bisogno di quell’incontro per andare avanti. Una strada efficiente, organizzata, magari con qualche buca da riassestare, ma tutto sommato ancora in piedi. Potevamo fare di quell’organizzazione la nostra natura, essere organizzazione.
Dall’altro lato, potevamo diventare qualcuno. Potevamo diventare - anzi, ritornare - associazione nel senso primigenio della parola, che deriva da socius: compagno, alleato. Associazionismo significa identità chiara, fiducia reciproca, legami abbastanza forti per fungere da base e motivazione. Proprio quella che ci mancava.
Scegliamo la seconda. Decidiamo di conoscerci meglio, di aprire spazi di confronto e momenti di scambio, di coinvolgere tutti in questo sforzo grande, enorme, per diventare qualcuno e non solo qualcosa. Inizialmente, tutto bene. Entusiasmo, partecipazione, un po’ di sana confusione che però covava in seno un grande fermento, un movimento che suggeriva attività, una nuova vita.
Ma la domanda continuava ad aleggiare: cosa ci tiene insieme?
Cosa resta quando spegniamo il computer e torniamo alle nostre vite? Cosa vive oltre gli schermi? Quante voci esistono dentro Education Around, e quante vogliamo che ne restino? Come tracciare una linea identitaria che possa valere per persone con esperienze di vita diverse, che in alcuni casi non si sono mai incontrate? Cosa abbiamo in comune?
Ma ciò che ci si chiedeva a monte, forse, era perché mai combattere insieme per qualcosa, se il nostro esercito somigliava più a un insieme di mercenari che a una falange macedone. Perché non chiudere tutto, arrivederci e grazie?
È una domanda difficile, ed è difficile rispondere in un modo che possa racchiudere il fermento e lo sconforto, l’energia e la stanchezza degli ultimi tre mesi. Ciò che possiamo dirvi è che, per qualche ragione difficilmente spiegabile in poche parole, qualcosa restava in piedi.
Anzi, qualcuno restava in piedi. È lì che sta il trucco, che si accende la lampadina. Quel cosa deve diventare un chi, Education Around non deve essere un insieme di progetti ma un insieme di persone. Persone che lavorano a dei progetti, ma prima di tutto persone. Soci, compagni, alleati.
Quelle voci così diverse avevano in comune una gran voglia di dire qualcosa, di farsi sentire. Di incontrarsi, scontrarsi, confrontarsi per tracciare una linea non-negoziabile e, al suo interno, generare un movimento continuo di cose che invece si possono negoziare, si possono discutere, possono farci crescere.
Ci siamo trovati davanti a un bivio senza una bussola che ci guidasse, e di fronte allo sconforto abbiamo capito che quella bussola dovevamo costruirla noi. Dovevamo essere noi.
Abbiamo capito che un porto sicuro dove tornare non lo avevamo, perché la strada per arrivarci era ancora sterrata e nascosta tra le sterpaglie. Ma abbiamo deciso di rimettere in sesto quella strada, costruire quella bussola, tracciare quella linea.
E questa newsletter, questo dialogo che non ho voluto interrompere, ha accompagnato questo percorso e lo ha indirettamente raccontato. Se tornate indietro, se alla luce di questa storia rispolverate i vecchi numeri, troverete qua e là gli indizi di quella spinta troppo forte che richiede una pausa, dello sforzo di trovare una propria Unicità che inglobasse voci diverse, di alcune linee non-negoziabili che abbiamo iniziato a tracciare insieme.
Questa singola newsletter, poi, è il racconto di una spirale che per sei mesi ci ha inghiottiti, che ci ha illusi di star facendo qualcosa di grande senza mai farci chiedere cosa, di muoverci spediti verso un obiettivo senza sapere quale questo fosse. È un consiglio da amici: state attenti, perché non sempre le migliori intenzioni riescono ad impedire di essere assorbiti da dinamiche subdole e a volte invisibili di un sistema abile a non farcene accorgere.
La nostra scelta, oggi, è quella di uscire da quella spirale che ci aveva fatti chiudere in noi stessi e rinnovare la sfida. Scegliamo di guardare in faccia quel sistema e avere il coraggio di sollevare delle domande da cui ripartire, alzare la voce e chiedere di poterlo smascherare, contestare, migliorare. Scegliamo di abbattere la distanza che si era creata tra di noi e con chi ci segue, rilanciare quotidianamente quella sfida tramite un dialogo che non è fatto solo di risposte ma soprattutto di domande, che diano voce a chi non la ha o che mettano in dubbio le nostre convinzioni.
Questa non è la chiusura di un cerchio, ma una scelta davanti a quel bivio. È l’inizio di un nuovo viaggio guidato da una bussola che stiamo costruendo insieme, da una mappa che stiamo disegnando una linea alla volta. È un invito rivolto a voi, per salire a bordo e seguirci in questa nuova avventura.
Scusate se non ve l’ho raccontato prima, ma stavo cercando le parole giuste. Come vi ho detto, nulla di cui preoccuparsi. Ma era una cosa importante, e non potevamo tenercela per noi; che amici saremmo, se non ci raccontassimo anche le belle notizie?
Con affetto,
Il Consiglio Direttivo
Sofia, Laura, Pietro, Gabriele, Danilo
Grazie per esserci stati fin qui. Non è stato facile arrivarci, ma adesso più che mai abbiamo bisogno del vostro supporto per riprendere questo viaggio, e farlo in compagnia. Per restare aggiornati sulle novità e sulle attività in ripartenza, o semplicemente per un confronto o qualche curiosità, ci trovate sui nostri canali social e sul nostro sito: