Prendere in contropiede, fare catenaccio, fare un autogol. La metafora calcistica nel nostro parlato può aiutarci a leggere la realtà quotidiana, spesso infatti ci viene in soccorso. Una realtà che rimane complessa ma che si cerca sempre di semplificare. Già prima del Covid, con l’amplificatore costituito dai social network, il dibattito pubblico si è presentato spesso secondo nette polarizzazioni. Sono le tifoserie, quelle a strisce rossonere o nerazzurre. Quelle che sono pro o contro rispetto a un argomento.
Ce l’ha ricordato il caso di Fedez, suscitando un’indignazione concorde con quella del cantante marito di Chiara Ferragni, oppure in contrasto con il modo e il contesto in cui presentare le sue tesi, favorevoli al Ddl Zan, sul palco del concerto del 1 maggio.
Recentemente Fabio Volo, scrittore e conduttore radiofonico, ospitato nella trasmissione televisiva a Otto e mezzo di Lilli Gruber, ha sollevato il problema di doversi schierare sempre sulle questioni calde e chiacchierate sui social network. Le tifoserie italiane vivono di questo, vivono la distrazione dai problemi reali, proprio come il gesto di andare allo stadio rappresenta uno sfogo che ha una sua psicologia e determinati comportamenti come descritto efficacemente da Gustave Le Bon in Psicologia delle folle.
Dall’altra parte rispetto alle tifoserie ci sono gli ignavi, quelli che non prendono posizione, gli stessi descritti da Dante nel Canto III dell’Inferno. Ricordiamo l’articolo, o meglio l’omaggio a Dante, della nostra Ludovica Fiorentino. Il non schierarsi, di questi tempi, porta a essere automaticamente etichettato come ignavo.
La consapevolezza dell’ignoranza socratica è cosa ormai passata di moda?
L’ignavo può stare antipatico anche perché non abbraccia quella pura distrazione dalla specificità delle cose, da quello che dovrebbe accenderci. La scuola, il lavoro, la salute che solo ora abbiamo rivalutato. Vince la distrazione dalla partita e dalle classifiche, quelle tabelle con freddi numeri che stabiliscono se puoi stare in Serie A o in Serie B.
Questa funzione di divertissement pascaliano ci nasconde la realtà di un’Italia che per troppi aspetti conta Vite di Serie A e Vite di Serie B. Sono di Serie A quelli che vengono da una famiglia benestante e che hanno le possibilità e la motivazione per studiare. Mentre sono di Serie B i tanti giovani che provenendo da famiglie svantaggiate trovano più difficoltà. Ce lo ricorda l’intervista di Serena Daoli a Poliferie, organizzazione non governativa che si occupa di valorizzare le aree urbane periferiche, affrontando la questione delle disuguaglianze economiche, sociali e culturali.
È stata di Serie B la scuola e quella didattica a distanza (DAD), ora DDI, che ha acuito le diseguaglianze già presenti sul nostro territorio. Da modalità didattica necessaria a risorsa innovativa, della DDI abbiamo scritto tra critiche, auspici e progetti di soluzioni come quello di Irene Gallo, ospite sul blog di Education Around.
Vite di Serie B sono state quelle di ragazze e ragazzi esclusi dalla didattica a distanza. Ovvero di chi si trovava già in condizioni svantaggiate prima della pandemia e che ora può essere stato messo a margine dal sistema d’istruzione in mancanza di device o connessione internet. L’inclusione di cui parla la nostra Valentina Rossetto passa anche per questi nuovi invisibili dell’istruzione, aggiunti a quel 40% di stranieri in ritardo scolastico.
Di altri invisibili, le tifoserie difficilmente se ne curano, arroccate come sono sugli spalti dei loro stadi. Fuori da essi, nelle periferie, nei campi gli immigrati braccianti vedono ancora condizioni disumane, di sfruttamento e violenza sintetizzate nel caporalato.
Quelle storie così lontane dalle vite di Serie A ma che più sognano questa scalata, quelle storie così ben raccontate dal giornalismo antropologico di Zoro, alias Diego Bianchi, conduttore di Propagandalive. Storie che meritano di essere rese note e per le quali sindacalisti come Aboubakar Soumaoro lottano indicendo scioperi. Perché anche gli invisibili possono e devono scioperare quando i diritti umani vengono negati.
Anche il lavoro apparentemente di Serie A, quello regolamentato, ci ha mostrato che le tutele non sono per tutti. Uno sciopero, infatti, viene indetto anche a Prato, dopo la morte di Luana D’Orazio, operaia di 22 anni inghiottita dagli ingranaggi di un orditoio. Succede il 3 maggio, a pochi giorni dalla Festa dei lavoratori ricordando le lacune di un paese in materia di tutele e sicurezza sul lavoro.
La stessa sicurezza e tutela della salute che viene sì dibattuta dalla tifoseria ma in riferimento all’argomento che ci vede coinvolti da ormai più di un anno. In relazione alla pandemia lo scontro tra le fazioni, tra chi vuole aprire tutte le attività e chi opta per la prudenza, da mesi occupa le prime pagine dei quotidiani.
Mentre il governo Draghi e il generale Figliuolo puntano al ritmo delle 500.000 vaccinazioni al giorno la narrazione pubblica che si è costruita ha voluto individuare un nemico e l’ha fatto. Ma non è il Covid-19. A ruota libera l’indice è stato puntato sul Governo Conte II, sui virologi come nuove star televisive, sulle mascherine, sui tamponi, su Astrazeneca, sul Ministro Speranza fino al coprifuoco.
Dal punto di vista psicologico, rassicura trovare un colpevole, un capro espiatorio, la perenne distrazione della tifoseria. La stessa che permette di distogliere lo sguardo da tutti questi fenomeni, da tutte le situazioni problematiche. La realtà è composta da problemi e per questo motivo chiede soluzioni continue, chiede di progettare un paese diverso. Progettare, dal latino proicio, ovvero gettare in avanti, lanciare, tendere innanzi. Lo stesso vocabolo e atteggiamento che ci potrebbe riunire tutti intorno a un tavolo – rossoneri, nerazzurri, invisibili, benestanti e svantaggiati– per pensare a come implementare il Recovery Plan approvato il 29 aprile dal Consiglio dei ministri.
Perché, forse, per la prima volta possiamo essere un paese unito nella ripartenza e nella ricostruzione. Per una volta possiamo essere tutti di Serie A, o forse finalmente nessuno sarà di Serie B.
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