Come si inizia una newsletter dopo un anno e mezzo di silenzio?
Boh, forse così:
ciao, come state?
No ok, scherzo. Un incipit del genere dopo essere stat* brutalmente ghostat* vale come minimo un blocco su WhatsApp o, in questo caso, la disiscrizione istantanea (non prendetemi alla lettera, non fatelo).
Ma forse devo fare un passo indietro. Siamo tutt* allineat* su cosa significhi ghosting? Qualora la risposta fosse no, rimedio al volo con una breve definizione chiarificatrice:
Ghosting s. m. inv. Dall’inglese ghosting, formato dal verbo (to) ghost ‘muoversi di soppiatto, come un fantasma’. Comportamento di chi decide di interrompere bruscamente e senza spiegazioni una relazione (per lo più sentimentale, ma anche di amicizia o lavorativa) e di scomparire dalla vita della persona con cui si intratteneva tale relazione, rendendosi irreperibile.
Bene, ora che l’ho buttata in caciara sui reali motivi di questa mia latitanza proseguiamo pure sulla via dell’aceto e parliamo ancora di ghosting.
Breve fenomenologia del ghosting, ossia i vari modi in cui si può manifestare:
Una persona con cui stai avendo una frequentazione romantica smette di farsi sentire e non risponde quando provi a contattarla;
una persona con cui stai avendo una conversazione online smette di rispondere senza aver concluso la suddetta conversazione;
un datore di lavoro presso cui ti sei candidat* ti ha detto che “ti avrebbe fatto sapere”, ma sparisce senza rispondere ai tuoi solleciti;
un potenziale cliente, una volta ricevuto il preventivo, non ti dà un riscontro smettendo per sempre di rispondere alle tue mail;
varie ed eventuali, a questo punto vi siete fatt* un’idea.
Ma sapete qual è la categoria più ghostata d’Italia in questo periodo dell’anno?
I genitori che lavorano e la loro prole in età scolare.
Loro vincono il primo premio, perché a ghostarli non è una persona, non due, ma proprio l’intero sistema di istituzioni.
Forse siete bombardat* da questo tipo di dati recentemente, o forse ci dimentichiamo che ciascun* di noi abita una bolla informativa, che gli algoritmi ci propongono solo argomenti e contenuti che ci interessano, e che ciò che ci è già capitato di vedere e sentire decine di volte nelle ultime settimane potrebbe non essersi nemmeno avvicinato all’algoritmo di un’altra persona.
Riprendo fiato e, essendo abbastanza certa che non tutt* qui condividiamo lo stesso algoritmo, faccio un breve riepilogo della questione.
In Italia le scuole chiudono per 13-14 settimane consecutive in estate: è la pausa estiva più lunga d’Europa, nonostante il numero complessivo di giorni di vacanza sia inferiore rispetto ad altri Paesi. Semplicemente, sono quasi tutti concentrati da giugno a settembre.
Questo si traduce in costi esorbitanti per i centri estivi, ferie alternate tra i genitori, nonni utilizzati come strumenti di welfare e assenza di stimoli per figl* abbastanza grandi da essere autosufficienti, ma che magari passano tutta l’estate in città sempre più invivibili per il caldo.
È, come sempre, una questione di classe. Che – attenzione – non riguarda solo i soldi per pagare centri estivi o attività stimolanti come viaggi studio o vacanze per chi ha figl* adolescenti, ma anche la difficoltà di accesso alle informazioni.
Mi spiego meglio. Ciascun* di noi vive all’interno di un contesto sociale, economico e culturale che definisce un orizzonte di argomenti e significati tra i quali ci muoviamo. Chi cresce in una casa piena di libri, per dirne una, inserirà la lettura all’interno del suo orizzonte di normalità più facilmente di chi ha genitori che non leggono: questa attività farà automaticamente parte del suo immaginario di quotidianità e non richiederà uno sforzo aggiuntivo per essere svolta.
Come spiega Alessandro Sahebi nel suo nuovo libro, chi vive in una condizione di povertà materiale difficilmente può permettersi di allargare l’orizzonte oltre la preoccupazione della prossima bolletta da pagare o delle spese da sostenere per arrivare a fine mese. Non perché non ci arrivi, non perché non ne sia in grado, ma perché
lo stress agisce come una calamita: focalizza lo sguardo su questioni urgenti, come procurarsi abbastanza denaro per la spesa o l’affitto, tralasciando a priori qualsiasi strategia di sviluppo personale.
Pensateci: quando avete una scadenza imminente o un pensiero stressante che non vi molla, cosa rispondereste a qualcuno che vi chiede di fare piani per la settimana, il mese o addirittura l’anno successivo?
Come si fa, quindi, ad accedere alle informazioni sulle opportunità, le procedure richieste ed eventuali agevolazioni per mandare tuo figlio o tua figlia a un campo estivo, quando anche solo l’idea che ci siano attività estive diverse dallo stare sul divano o giocare in strada sotto il sole cocente non sono stimoli che raggiungono il tuo orizzonte di significato?
Questo non si limita solo ai mesi estivi: la povertà educativa, che non a caso non si limita al solo diritto allo studio ma alla “impossibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”, riguarda tutte le opportunità di apprendimento non formale, ludiche e di socializzazione.
Una ricerca dell’ISTAT sulla povertà educativa ha evidenziato che nel 2023 in Italia il 39,2% di bambin* e dei ragazz* tra i 3 e i 19 anni non ha mai fatto sport, oltre il 70% non ha mai messo piede in una biblioteca e, di questi, il 16,8% non ha mai partecipato a uno spettacolo o un’attività culturale fuori casa (cinema, teatro, musei, mostre, siti archeologici, monumenti, concerti).
Il contesto socio-economico e familiare, infine, incide più o meno consapevolmente sulle scelte di studio o lavoro: se i tuoi genitori hanno frequentato un liceo è più probabile che lo faccia anche tu, se i tuoi genitori sono laureat* è più probabile che tu ti iscriva all’università. E così via, in una catena di fragilità che non si spezza, ma si autoalimenta.
E non facciamone una questione di poverett* loro e fortunat* noi: la povertà educativa tocca chiunque, anche chi non vive in condizioni di povertà materiale.
Perché, mentre l’asticella di cos’è un diritto si abbassa sempre di più, e persino cose come studiare, avere una casa e arrivare a fine mese vengono risemantizzate come privilegi, noi, semplicemente, rischiamo di non accorgercene. Perché per noi continuano a essere diritti, e quindi cose dovute, mentre per 1,3 milioni di minorenni e per le loro famiglie diventano un extra.
E allora è anche il nostro orizzonte di significati a risentire della povertà educativa, perché privato di quell’insight – cioè di quello sguardo dall’interno, che si tuffa in profondità e riemerge con una nuova consapevolezza – che permette di accorgersi dello scollamento di significato che ci fa confondere il diritto con il privilegio, il dovuto con il richiesto, la gratuità con il sudore.
Se viviamo in delle bolle, tutto questo non lo vediamo. E tutto questo ci rende pover* di consapevolezza.
E se c’è un posto dove le bolle si incontrano, dove gli orizzonti possono contaminarsi, quello è proprio la scuola.
Una scuola che però rischia di essere a sua volta una bolla, di chiudersi nella sua funzione istruttiva e di abbandonare quella educativa, di cristallizzarsi nel ruolo di tribunale che giudica e sentenzia senza lasciare spazio di replica.
Rendere le scuole luoghi educativi a 360 gradi significa non solo tenerle aperte oltre le ore dedicate alla didattica, ma integrarle nei territori e nei tessuti sociali attraverso alleanze con il terzo settore, le associazioni sportive, i servizi psico-sociali, la società civile. Renderle comunità educanti in grado di accogliere senza chiedere di rientrare in standard predefiniti, di accompagnare trattando le persone come persone e non come casi da attenzionare, di costruire insieme qualcosa in cui ciascun* si senta parte attiva e protagonista, mai ospite. Renderle scuole aperte, insomma.
E qui faccio la magia: con un mix di compassione e marketing aggressivo, in cui in parte vi spiego uno dei motivi per cui sono sparita, faccio leva sull’empatia appena ripristinata e vi chiedo pure di cliccare su un link. Poi forse vado a nascondermi, su questo ci aggiorniamo.
Vabbè, via il dente via il dolore: siccome in Education Around ci siamo rott* di una scuola pensata solo dagli adulti, abbiamo partecipato a un bando per farla immaginare a chi invece la frequenta e la vive ogni giorno come studente. Poi quel bando l’abbiamo addirittura vinto e abbiamo ricevuto un finanziamento che per obblighi burocratici devo riportarvi così:
Progetto realizzato con il contributo della Regione Emilia-Romagna, all'interno del programma GECO 13, con il sostegno del Comune di Reggio Emilia, Servizio Officina Educativa Partecipazione Giovanile e benessere
Insomma, tutto questo per dirvi che il progetto si chiama Scuola Sempre, Scuola Ovunque e che lo trovate a questa pagina, ma anche per chiedervi di farlo girare perché iniziamo a settembre e ci servono ancora un po’ di iscrizioni.
E per dirvi che mi siete mancat*, ma siccome qui le smancerie non sono particolarmente apprezzate ho dovuto scrivere 8957 battute per girarci attorno e dirvelo in mezza riga alla fine.
Spero mi perdonerete per il momento autopromozionale: giuro che non succederà più.
E sì, vi ghosterò ancora, ma per meno tempo dell’ultima volta. Ciao!
Mi faccio perdonare per quest’anno e mezzo di assenza riempiendovi di consigli:
Il già citato libro di Alessandro Sahebi, Questione di classe. Lo sto ancora leggendo, ma mi sento di consigliarvelo anche prima di averlo finito.
La compagna di newsletter - nonché amica e giornalista eccezionale - Chiara Sgreccia da qualche mese ha iniziato a scrivere Tempo Pieno, la newsletter gratuita del quotidiano Domani sulla scuola. Esce l’ultimo mercoledì di ogni mese e se, come credo, vi interessa il tema, sono sicura che non vi pentirete di esservi iscritt*.
Una bolla un po’ diversa, ma pur sempre una bolla: avete mai chiesto a un uomo come percepisca se stesso, il rapporto con gli altri uomini e con le donne e con il sistema patriarcale? Irene Facheris lo ha fatto e ne è uscito un podcast fortissimo, spiazzante, che spesso fa arrabbiare ma apre lo sguardo su orizzonti che molt* non immaginano nemmeno. Si chiama Tutti gli uomini. Preparate il Gaviscon, ma tenete una mente aperta.
Cosa succede se una bambina cresce nella bolla più bolla che ci sia, quella di un’istituzione totale? Grande Meraviglia è il libro di Viola Ardone che racconta la storia di Elba, nata e cresciuta dentro un manicomio, e della fatica di scoprire un mondo pieno di significati fino a quel momento inaccessibili.
Una bolla che si è rotta troppo tardi, ma pare si sia finalmente rotta. A Gaza è in corso un genocidio e non possiamo stare a guardare. Donate dove volete, come potete. Se posso lasciarvi uno spunto, di questa organizzazione mi fido molto.
Come sempre, potete contattarci per domande, dubbi e riflessioni all’indirizzo redazione@educationaround.org. Per continuare a seguire le nostre attività (e supportare il progetto Scuola Sempre, Scuola Ovunque!), ci trovate sui nostri canali social: