Conatus sese conservandi primum et unicum virtus est fundamentum.
L’istinto all’autoconservazione - scriveva il celebre filosofo Spinoza - è il primo e unico fondamento della virtù. È la base ineludibile della vita buona.
Una delle caratteristiche elementari dei viventi è la tendenza a conservare la propria vita. Questo non significa semplicemente ‘sopravvivere’ né ‘tirare a campare’. Si tratta piuttosto di preservare la propria vita dai pericoli, per garantirsi la possibilità di vivere. Le cose che danno significato alla nostra esistenza perdono ogni valore, se non c’è una vita che in esse si arricchisce e si fa bella.
È per questo che chiudersi in una bolla non basta, anche quando sembra l’unica soluzione possibile.
Da quasi un anno siamo tutti alle prese con un virus che minaccia massicciamente le nostre vite, anche se in maniera diversa e troppo spesso iniqua.
La pandemia ci ha costretto a chiuderci in una bolla. All’isolamento e al distanziamento fisico se ne aggiunge un altro, più subdolo e difficile da spezzare: quello che ha avviluppato le nostre relazioni.
Chiusi i cinema, i teatri e i centri di aggregazione, sospesi gli eventi di ogni tipo. Chiusi i luoghi in cui nei corpi si incontrano le nostre persone. Il sistema economico e politico globale è attraversato da incertezze strutturali e preoccupanti.
Chiusi i luoghi dell’educazione e della formazione: scuole e università vivono da mesi una condizione di sospensione, che abbiamo voluto rappresentare con un’opera di Morena Catalani, una giovanissima artista che vi consigliamo di seguire.
Tutte le persone che abitano questi mondi, che in essi lavorano e si formano, si sono trovati dinnanzi alla necessità di tradurre le proprie attività in digitale. E questo non è di per sé un male: il digitale non ci costringe ad arretrare rispetto alle priorità. Può anzi essere un’occasione per imparare, per migliorare le nostre capacità di ascolto e interazione, per riflettere sul senso delle nostre attività “in presenza”.
Su questo punto c’è una bella storia da ascoltare nella prima puntata del nostro nuovo podcast, Accademico, che prende la mosse da una figura interessante, che noi tutti conosciamo.
Va detto: il digitale chiede risorse che, purtroppo, non sono sempre accessibili a tutti. Non si tratta solo di gap generazionale: è una questione di eguaglianza e di equo accesso agli strumenti. Questo è un problema che va analizzato e su cui urge una serie di riforme strutturali nel nostro Paese. Avremo modo di tornare sul tema più a fondo.
Per uscire da questa bolla di sospensione non basta bucarla: occorrono degli orientamenti.
Questa parola condensa la nostra mission: raccogliere informazioni, analizzare dati, produrre orientamenti. Il nostro focus è l’educazione, ci occupiamo di scuola e università e dei fenomeni che attraversano questi mondi.
Ecco perché produciamo ranking, concepiti come strumenti di orientamento. Ogni anno, sulla base dei dati raccolti da AlmaLaurea, mappiamo le università pubbliche in Italia, secondo i criteri che riteniamo più rappresentativi. La nostra metodologia è a disposizione per chiunque volesse informazioni tecniche più specifiche e siamo sempre a disposizione per rispondere a domande in merito.
Come ogni mappa, anche i ranking vanno interrogati nella maniera giusta: occorre sapere cosa cercare. Soprattutto, occorre sapere che cosa un ranking non può fare: non può scegliere al nostro posto ma può essere d’aiuto nella scelta. Ne abbiamo scritto più dettagliatamente in un recente editoriale.
Ogni scelta è un esercizio di libertà e chiunque pretenda di scegliere per altri viola il sacro diritto alla scelta autonoma e informata.
L’auspicio con cui chiudiamo questa prima newsletter è che ciascuno possa avere gli strumenti per vivere liberamente; e che chi non li ha possa trovare sempre una sponda, un’occasione di crescita per appropriarsene.
Grazie per aver letto questa newsletter.
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